Sarajevo mi ricorderà per sempre il mio caro amico e collega Gianni. Ero andato a trovarlo in settimana in ospedale e anche se le sue condizioni mi sembravano in netto peggioramento ho continuato a sperare fino all'ultimo. L'arrivo in contemporanea, nel tardo pomeriggio di domenica, dei due messaggi “Gianni se ne è andato” di Daniela la sua compagna e di Veronica, mentre bevevo un caffè bosniaco nel quartiere di Baščaršija a Sarajevo mi hanno letteralmente sconvolto e sono scoppiato in un pianto incredulo solitario. Gianni è stato per me un vero amico oltre che collega. A lui confidavo i miei segreti sentimentali perché Gianni aveva un dono incredibile, quello della riservatezza. Con lui discorrevamo di viaggi e cultura perché Gianni era una persona colta. Gli piaceva il teatro, la musica, aveva una predilezione per i viaggi a Venezia, Roma e Parigi che condivideva sempre con Daniela. Lui preferiva Montmartre mentre io legato a Montparnasse cercavo di fargli cambiare idea promettendogli un giorno di andarci insieme. Gianni era una persona assolutamente discreta. Dietro il suo aspetto e i suoi modi, in qualche caso apparentemente burberi, si nascondeva un cuore gentile. Mi voleva bene, mi stimava. Per me era altrettanto. Mi piace ricordarlo sorridendo nelle nostre discussioni sul modo di lavorare o quando arrivava al mattino del lunedì e gli chiedevo di sforzarsi per un sorriso perché la vita è bella. Era sempre presente e questo mi dava la garanzia della buona giornata. Insieme a Veronica formavamo un terzetto unico. Lui voleva un gran bene a Veronica e la stimava. E lei altrettanto. Siamo stati gli ultimi a vederlo e a stringergli la mano. Agli inizi di settembre aveva dovuto accettare, a malincuore per tutti, il trasferimento in un’altra sede e lui viveva in modo angosciante questa nuova situazione. Non era più nel suo habitat, non aveva quelle persone con le quali condividere momenti di vita quotidiana. Era demoralizzato, spaesato. Io avevo cercato, senza riuscirci, di riportarlo nel nostro ufficio scrivendo e-mails, nelle quali spiegavo il suo malessere interiore, indirizzate alla Direzione. Non mi hanno ascoltato. Gli mancavano pochi anni alla pensione. Ero convinto che sarebbe entrato in un stato di depressione. Purtroppo questa nuova condizione non ha fatto bene alla sua malattia. Una malattia che gli ha "regalato" più di due mesi di straziante agonia, una malattia che non lasciava scampo anche se ho sempre sperato in un miracolo. Una malattia che ce lo ha portato via in età ancora giovane, eravamo quasi coetanei ed era per me come un fratello maggiore, una malattia che ha lasciato nello sconforto più assoluto e nella tristezza infinita Daniela la sua compagna di sempre. A lei va il mio più sentito affetto. Gianni non morirà mai dentro il mio cuore. Gianni é stato un incontro nella mia vita per dieci anni che sono felice sia accaduto. Gianni proteggerà i miei segreti ovunque lui sarà. Gianni era così. Una persona d'animo buono, una persona che bisognava conoscerlo bene per capirne le sue immense qualità. Gianni mi ricorderà per sempre questo viaggio che vado a recensire con le lacrime agli occhi. Gianni e Sarajevo resteranno indissolubili dentro la mia mente.
Nella settimana precedente la mia partenza per Sarajevo ho cercato di documentarmi attraverso articoli o filmati reperiti in rete su quanto era accaduto durate l'assedio della città dal 1992 al 1995 nella guerra in Bosnia ed Erzegovina. Non riuscivo a capirne i motivi validi (se mai ce ne fossero), non riuscivo a capacitarmi delle atrocità commesse e dell'assoluto menefreghismo dell'Europa e del mondo intero per una nazione così tanto vicina alla nostra. Una guerra che ha tolto la vita a più di quarantamila civili innocenti (dodicimila solo a Sarajevo). Leggendo di Sarajevo e della Bosnia negli anni precedenti la guerra ne veniva fuori un quadro di assoluta condivisione. Nella stessa città e nella stessa nazione vivevano rispettandosi religioni ed etnie diverse. Dopo la morte di Tito che teneva unite tutte le federazioni dello stato jugoslavo c'erano state le rivendicazioni di indipendenza da parte di ognuna di loro e a qualcuno, con autentiche manie di grandezza, la cosa non era piaciuta. Da qui l'accensione della miccia che ha scaturito l'inferno. Ero convinto che visitare Sarajevo mi regalasse interiormente autentiche perle di riflessione, di saggezza, di continue domande e risposte per capirne al meglio il vissuto quotidiano. Ed é stato così. I viaggi hanno questo grande valore, ti danno una cultura superiore ai libri, ti assegnano la laurea sul campo. Mentre percorrevo in taxi la strada, che collega l’aeroporto alla città vecchia di Sarajevo, resa famosa col nome di “Viale dei cecchini” per la presenza di numerosi tiratori scelti durante la guerra pensavo al terrore dei civili in quel periodo e al loro destino. Da non crederci. Appena arrivato mi sono precipitato nel quartiere turco, la Baščaršija. Baščaršija in lingua turca significa mercato principale. Questa area fu fatta edificare da un condottiero ottomano e questo tipo di costruzione prendeva il nome di caravanserraglio. Ora Baščaršija è una città nella città, un quartiere colorato, vivo, nel quale, durante una passeggiata tranquilla di un quarto d’ora, si può transitare davanti ai luoghi di culto delle più importanti religioni del mondo: chiesa ortodossa e cattolica, sinagoga e moschea. Può capitare di sentire il canto di richiamo del muezzin e magari non essere davanti a una moschea ma a un'altra chiesa che professa religione diversa. Una linea demarca il passaggio a est o a ovest della città e questo le dona un fascino irresistibile. Ho provato immediatamente, sedendomi nelle piccole panche all'aperto fuori dai locali, il caffè bosniaco che ho accennato a inizio post sulla stile di quello turco. Bere il loro caffè è un rito. Un elogio alla lentezza e alla condivisione. Si aspetta che il caffè sciolga piano piano lo zucchero e nell’attesa si chiacchiera e si guarda il mondo che passa. E’ meraviglioso questo esercizio. Si capiscono molte più cose seduti davanti a un caffè a Sarajevo che in qualsiasi altra parte del pianeta. Perché forse é proprio qui il centro del mondo. Nella Baščaršija c’è l’emblema di Sarajevo. SI tratta della Fontana Sebilj in stile moresco plurifotografata, anche da me, dall’alba al tramonto fino a notte inoltrata. E’ il punto di incontro dei sarajevesi e intorno si muove tutto il quartiere. Caffetterie e piccoli punti di ristorazione per gustare i piatti tipici della Bosnia : il cevapcici e il burek. Il cevapcici è una piccola polpetta dalla forma allungata, di carne di agnello e/o vitello, con aggiunta di spezie e cipolla e cucinata sulla brace; il burek è una torta salata, che consiste in una sfoglia sottile ripiena di carne, e viene cotto ricoprendolo interamente con braci ardenti. L’indomani mi sono svegliato con una spruzzata di neve sui tetti che mi ha regalato un paesaggio inconsueto e suggestivo. Non mi era mai capitato. Ho deciso allora di prendermi la giornata di sabato visitando quello che potevo, nei musei come nei posti segnalati dalle guide, riguardo la guerra di venticinque anni fa. A quel tempo avevo appena compiuto i trent’anni e avrei dovuto ricordarmi quegli eventi mentre invece vivendo nel mondo dorato del "non sta succedendo a noi" avevo preferito distogliere le mie attenzioni su quei tragici avvenimenti. Come un reporter in tempo di pace ho preso il primo taxi e sono andato a toccare con mano il tragitto restante (venticinque metri) degli ottocento metri di quel tunnel, costruito in tempo di record nel 1993 da volontari bosniaci, che durante l'assedio di Sarajevo aveva lo scopo di collegare la città interamente isolata e circondata dalle forze serbe, con una zona molto più estesa del territorio bosniaco che passava al di sotto dell'area neutrale dell'aeroporto istituita dalle Nazioni Unite. La galleria faceva raggiungere alla città le riserve alimentari e gli aiuti umanitari e alla popolazione di fuggire. Il tunnel ha salvato molti civili di Sarajevo. Rientrando in città ho visitato il museo che documenta più di ogni altro gli eventi di quella orribile guerra, con filmati d’epoca, con fotografie impressionanti e con oggetti reperiti sul campo in quei giorni. Poi sono andato a visitare la Galleria 11/07/95 chiamata così per ricordare il Massacro di Srebrenica, un genocidio dove in un solo giorno la milizia serba comandata dal criminale di guerra generale Ratko Mladić ha ucciso più di ottomila musulmani innocenti con il rastrellamento di maschi dai 14 ai 78 anni. Sebbene Srebrenica fosse una zona protetta sotto la tutela delle truppe olandesi delle Nazioni Unite nessuno intervenì per fermare la carneficina. Filmati, fotografie, manifesti, frasi sui muri ti danno un pugno forte allo stomaco per l'incredulità e la gratuita violenza, un vera e propria pulizia etnica per eliminare i musulmani. Sono ancora incredulo. La domenica mattina, col il sole al posto della neve, di buona lena ho percorso il tragitto che dall’hotel porta direttamente davanti al Palazzo del Parlamento (ora ricostruito) che nei giorni della guerra era l’immagine, con le finestre incendiate, dei bombardamenti da parte delle truppe serbe. Proprio di fronte si trova un altro palazzo storico (anch’esso ricostruito) reso famoso per essere stato in quegli anni la casa dei giornalisti delle varie agenzie di stampa internazionali, l’hotel Holiday Inn, inizialmente anche utilizzato dai cecchini per sparare sui ponti dove transitavano i civili per creare terrore. Si rivive la storia a Sarajevo. Decido di prendermi una piccola tregua andando verso il nuovo grattacielo l’Avaz Twist Tower, il più alto dei Balcani, e di prendere il veloce ascensore che mi porterà in cima al 35° piano (più uno a piedi) da dove si gode un panorama a 360° della città. Il grattacielo ha una forma veramente particolare che col colore azzurro delle vetrate gli dona un aspetto avveniristico. Riprendo per mano la storia, passo davanti all’Ambasciata degli Stati Uniti d’America e vado a visitare un’ennesima mostra, con bellissime fotografie d’autore, rivolta alla guerra del 1992-1995 nel Museo della Storia della Bosnia ed Erzogovina. Un salto all’adiacente bar Tito, con gli interni tutti dedicati allo statista jugoslavo, mi è sembrato il classico tuffo nel passato quando la nazione era tutta unita. Mi dirigo costeggiandolo verso il fiume Miljacka e passo in rassegna tutti i ponti principali. Il primo che incontro è il ponte Diliberović-Sučić, in passato chiamato Vrbanja, dedicato a Suada Dilberović e Olga Sučić, una studentessa e una pacifista, che vennero uccise da un cecchino delle milizie serbe durante una manifestazione per la pace. Quelle prime vittime accesero la miccia all’assedio di Sarajevo. Il secondo che merita una grande citazione è il Ponte Latino di impronta ottomana con quattro arcate e che poggia su tre possenti pilastri. E’ diventato storico in quanto fu scena dell'attentato di Sarajevo del 1914 in cui venne ucciso dal giovane studente Gavrilo Princip l'erede al trono di Austria e Ungheria l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este insieme alla moglie e ne costituì la scintilla della prima guerra mondiale. L’ultimo ponte degno di nota è quello chiamato Šeher-Ćehaja E’ situato in un ambiente pittoresco, da cartolina. E’ uno dei più antichi ponti di Sarajevo, costruito nel periodo ottomano e si trova proprio di fronte alla Biblioteca nazionale che durante l’aggressione nazionalista serba del 1992 fu bombardata e furono distrutti due milioni di copie tra libri, articoli, riviste e manoscritti. L’obiettivo era quello di cancellare le tracce di una storia comune in una città multiculturale e multietnica. Sarajevo è ricca di storia e di contraddizioni. E’ un luogo dove l’Oriente incontra l’Occidente nel cuore dei Balcani. Nella parte vecchia basterà alzare gli occhi e si vedranno spuntare tra i tetti i minareti delle moschee. Se invece si abbasserà lo sguardo potrà capitare di vedere le “rose di Sarajevo” dove una resina rossa ha coperto le tracce, sui marciapiedi, delle bombe o dei colpi di mortaio che avevano lasciato il loro segno. Sarajevo è un posto che ti resta nel cuore, proprio come l’amico Gianni che nel mio lo sarà in eterno.
PS in questo viaggio ho usato per la prima volta la carta Priority Pass rilasciatami grazie all’American Express Platinum per accedere alle lounges aeroportuali. Le sale di Vienna, nell'attesa dei voli per Sarajevo (andata) e Milano (ritorno), e quella di Sarajevo nel viaggio di ritorno mi hanno ospitato permettendomi di rilassarmi, scrivere appunti per questo post e rifocillarmi adeguatamente.
Post’s song : “Miss Sarajevo” performed by George Michael
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